Il Progetto


Gli archivi degli autori, costituiti dalle carte e dai volumi delle loro biblioteche, sono il “rovescio della medaglia” delle loro opere, e le forme della loro costituzione e conservazione nel tempo raccontano molto di quella “volontà di archivio” che, da Petrarca in poi, è l’altra dimensione della “volontà d’autore”: una fiducia nella possibilità di affidare ad essi, nella posterità, un’immagine parallela e speculare a quella offerta dalla propria opera. Come ha scritto Almuth Grésillon, le carte d’autore, non sono «des documents privés, écrits pour soi, destinés à aucun lecteur» (Grésillon 1994, p. 9), ma sono “carte geografiche” del pensiero creativo (Italia 2017), che negli archivi d’autore si compongono in una mappa culturale.

L’iniziativa Volontà d’archivio: l’autore, le carte, l’opera si propone, attraverso un convegno di studi (Padova, 26-28 settembre 2022) e una raccolta di saggi (Viella, 2023) di studiare per la prima volta gli archivi letterari nel loro complesso, attraverso casi esemplari da Petrarca a Manzoni, guardando alla loro formazione e alla storia della loro conservazione e dispersione, al fine di indagare le tracce di un’intenzione autoriale che è l’altra faccia dell’intenzione d’opera.

Qual è il livello di consapevolezza con cui un autore ha considerato la funzione del proprio archivio letterario presso i posteri? È possibile individuare una precisa strategia, volta a controllare e/o indirizzare la fruizione dei documenti? Quali sono i rapporti dialettici tra archivio d’autore e opera pubblicata? E, infine, come è possibile rintracciare, nei documenti conservati, questa “volontà d’archivio”? Per rispondere a queste domande, i maggiori esperti di carte d’autore hanno unito lo studio strutturale (lasciti testamentari, inventari, cataloghi ragionati, ecc.) con l’analisi ravvicinata delle note d’autore, le cosiddette “meta-postille”, che mostrano, nella stratificazione diacronica degli interventi, le riflessioni dell’autore sul proprio archivio. Con questa doppia focalizzazione, l’archivio d’autore si rivela lo strumento più utile per una riflessione sull’interazione costante tra documento e opera letteraria.


Un osservatorio privilegiato

La nozione di volontà d’archivio, esplorata in Albonico-Scaffai 2015, esprime la consapevolezza che numerosi autori della modernità letteraria hanno avuto dell’importanza di conservare e tramandare il proprio archivio. Tale consapevolezza, specie se tradotta in una riconoscibile volontà, ha trovato preziosi interlocutori nelle istituzioni di conservazione pubbliche e private (archivi, biblioteche, fondazioni), che si sono spese per raccogliere, conservare e rendere fruibili questi documenti.

Osservata nella modernità, la volontà d’archivio sembrerebbe affermarsi, salvo sporadiche eccezioni, solo a partire dalla fine dell’Ottocento: per la Francia, ad esempio, il celebre baule di manoscritti dal quale Hugo non si separava mai (Biasi 2017) assurge a emblema di un nuovo rapporto dell’autore con i suoi manoscritti, determinando il campo privilegiato di applicazione della critique génétique.

Il “caso italiano”, invece, culla di un umanesimo che attraverso Petrarca si è diffuso in tutta Europa, trova, proprio in Petrarca, il capostipite di una precocissima “volontà d’archivio”, fino alla decisione di conservare, con il Codice degli abbozzi, non solo l’opera nella sua versione definitiva, ma nella sua genesi, nelle prove tangibili della sua fatica e del suo stile – “non illorum dignitati, sed meo labori consulens” (Rerum Familiarum Libri, I, 1, 10) – dando origine a una “tradizione” di manoscritti d’autore che è la più ricca e interessante nella storia del pensiero creativo occidentale (come hanno mostrato recentemente Del Vento – Musitelli 2019 e Italia 2022).

Per tale ragione, gli archivi letterari degli autori italiani si offrono come un osservatorio privilegiato non solo per studiare le pratiche di scrittura attraverso i secoli ma anche, e forse soprattutto, per interrogarsi sull’esistenza e sulle manifestazioni delle volontà d’archivio dalla fine del Trecento all’Ottocento, momento in cui, con la moltiplicazione dei materiali genetici e la nascita dell’autore corrispondente al modello del “genio romantico”, la conservazione dell’opera materiale diventa consustanziale a quella testuale: il baule di manoscritti di Hugo non è meno prezioso delle sue opere a stampa.

La sfida di questa iniziativa è di reperire le varie tracce che, al netto degli inevitabili fenomeni di dispersione, distruzione e manipolazione a cui sono andati incontro i documenti coinvolti, permettono di individuare la fisionomia originaria degli archivi dei vari scrittori, e di cogliere eventuali manifestazioni di una concezione ab origine unitaria (autoriale) degli insiemi documentari coinvolti.

Non si tratta di seguire l’iter compositivo di una singola opera letteraria, e non ci proponiamo, in questa sede, di esplorare le pratiche compositive degli autori coinvolti, quanto di indagare la dialettica tra autore e opera, centrando il focus sull’archivio, considerato come il luogo di maggiore prossimità, o di intersezione, tra le due volontà: quella esplicitata dall’opera e quella, implicita, ma non meno importante, presente nell’archivio.

Coscienza d’archivio, volontà di conservazione

Primo elemento per sondare l’esistenza di una volontà d’archivio è senz’altro l’individuazione di un’intenzione di conservare le proprie carte, sia essa espressa in modo esplicito (ad esempio, attraverso disposizioni testamentarie, inventari, elenchi di volumi, ecc.) o sia essa ricavabile da testimonianze indirette. Una volontà di conservazione può significativamente applicarsi anche alle biblioteche d’autore, qualora emerga ad esempio l’intenzione di evitarne la dispersione oppure qualora l’allestimento di cataloghi domestici mostri, da parte dell’autore o di un suo erede, il tentativo di tracciare in seno a un più vasto insieme librario il perimetro della biblioteca di pertinenza dello scrittore. Anche laddove non sussistano tracce di una volontà di conservazione, dai documenti superstiti può tuttavia emergere una più o meno lucida “volontà d’archivio”, riscontrabile a più livelli, della quale si possono presentare alcune possibili manifestazioni:

  • l’allestimento di miscellanei d’autore, in particolare se corredati di peritesti autoriali (anche non necessariamente autografi) che riflettano una volontà di riordino e di organizzazione dei propri documenti;
  • la predisposizione di copie “di apparato” (versioni calligrafiche, solitamente di mano di segretario) dell’insieme dei propri manoscritti, o di una parte di essi, destinate a divenire parte integrante dell’archivio di famiglia, e dalle quali si desume l’intenzione di garantire ai propri documenti una sopravvivenza parallela rispetto alla circolazione pubblica (fenomeno giocoforza più evidente nell’era della stampa);
  • l’apposizione di “meta-postille”, che creino un dialogo tra le varie componenti (sopravvissute e non) dell’archivio – denunciandone così l’originaria compattezza – o che si rivolgano a un interlocutore esterno. Per meta-postille non si intendono glosse e note con funzione genetica, come ad esempio note di regia aggettanti verso l’eventuale riscrittura di una determinata opera o, ancora, eventuali tracce di lettura verbali disseminate nei volumi postillati appartenuti alla biblioteca personale di uno scrittore, ma le note e postille che riflettono sul documento stesso, e in particolare sul documento nell’archivio. Note che presuppongono, da parte dell’autore, la consapevolezza dell’uso, personale o di altri, dell’archivio come un complemento ermeneutico della propria opera. Esse possono essere di tipo diaristico (volte a dettagliare il contesto o l’occasione che ha dettato un particolare componimento: in tal caso, la peculiarità è quella di contenere un surplus di informazione rispetto all’opera messa in circolazione) o, ancora, possono essere chiaramente volte a orientare la lettura non tanto dell’opera, quanto del documento (manoscritto o volume postillato) attraverso varie strategie di autocommento che vanno dalla presa di distanza e dissimulazione al chiarimento esplicativo o di contestualizzazione;
  • l’esistenza di tracce materiali (tipologia di supporto, strumento di scrittura, ductus, ecc.) che permettano di cogliere una primigenia unitarietà o contiguità tra documenti anche dislocati fisicamente in sedi di conservazione diverse, e sottoposti nel tempo a interventi esterni di restauro, manipolazione, riordino, riorganizzazione.

Storia interna degli archivi letterari

Nei casi più fortunati, è possibile cogliere il momento o fase in cui si è affermata in un autore una “volontà d’archivio” e come essa si sia tradotta in un processo di riorganizzazione del materiale preesistente: in tal caso, le strategie di controllo e gestione del proprio archivio autoriale possono permettere di tracciare una storia interna dell’archivio, individuando la stratificazione diacronica degli interventi sul complesso documentario, cogliendo in particolare l’eventuale rifunzionalizzazione dei materiali tanto in absentia (dissimulazione o distruzione di documenti) quanto soprattutto attraverso la loro dislocazione e/o distribuzione (es.: allestimento di miscellanei d’autore) o attraverso l’attuazione di strategie volte a orientarne la fruizione (es.: meta-postille). Una sorta di genesi dell’archivio in quanto complesso documentario organico che, osservata nella dialettica con l’opera pubblicata, permette di sondare l’assestamento dell’immagine autoriale che uno scrittore intendeva consegnare alla posterità.

Un’altra prospettiva significativa riguarda il rapporto con il pubblico. In particolare, nel corso del Settecento, in cui si fa particolarmente diffusa una fruizione salottiera dei manoscritti d’autore, la cura per le proprie carte sembra non limitarsi alla predisposizione dell’allestimento delle Opere da pubblicarsi postume. In taluni casi, infatti, è possibile parlare di un doppio sistema di circolazione, affidato a canali diversi e con destinatari d’elezione diversi: da una parte, un pubblico vasto, a cui sono destinate le opere a stampa; dall’altra, un pubblico selezionato, più intimo (la propria famiglia, gli amici, i frequentatori del proprio salotto, ecc.) a cui è destinata, tanto in vita quanto dopo la propria morte, la fruizione dei documenti manoscritti. A questo si aggiunge un più sfuggente destinatario, individuabile nella “posterità” per la quale l’archivio è o può essere chiamato a fare non solo (o non tanto) da garante di paternità dell’opera, ma anche da garante di autenticità e veridicità, una sorta di collante tra autore e opera.

L’invito è quello di verificare in quale misura l’insieme dei documenti d’archivio può o intende fare opera e, in tal caso, ad applicare al complesso documentario (considerato in quanto unità organica) gli strumenti tradizionalmente applicati allo studio della genesi delle singole opere letterarie.

Storia esterna degli archivi letterari

Non sarebbe possibile parlare di volontà d’archivio limitandosi alle intenzioni dell’autore in merito alle proprie carte: proprio come per i testi letterari è opportuno, infatti, parlare di volontà multiple, espresse a seconda dei casi e nel corso del tempo da istanze diverse. Altrimenti detto, è necessario prendere in considerazione la storia esterna degli archivi letterari, esplorandone la tradizione e tracciando i percorsi della loro dispersione o dei tentativi di collezione e ricompattamento. A vario titolo, e il più delle volte in buona fede, gli eredi degli archivi d’autore o i responsabili della loro conservazione hanno sottoposto il complesso documentario a interventi che ne hanno modificato (e talvolta snaturato) l’originaria fisionomia. In certi casi per leggerezza, in altri nel tentativo (spesso maldestro) di proteggere l’immagine dell’autore o la propria occultando o manipolando in tutto o in parte l’archivio, in altri casi ancora al fine di forzare i documenti a una precisa ricezione dell’autore in questione, e della sua opera.

A prescindere dalle motivazioni che hanno mosso le entità coinvolte, lo studio della storia esterna degli archivi può evidenziare in che modo il contesto e vari attori esterni, agendo sugli archivi, hanno indotto dei riassestamenti, nel corso del tempo, nella percezione dell’autore e della sua opera letteraria.

Questo specifico aspetto merita di essere guardato non solo (o non esclusivamente) nell’ottica della ricostruzione della fortuna critica e ricezione di un determinato autore ma, nel caso specifico, esplorando il ruolo chiave che gli archivi letterari hanno giocato o possono aver giocato (attraverso le eventuali manipolazioni a cui sono stati sottoposti nel loro complesso) nel restituire di volta in volta un’immagine diversa dello scrittore e dei suoi scritti.

Paola Italia & Monica Zanardo

Riferimenti bibliografici:

Albonico – Scaffai 2015 = Simone Albonico e Niccolò Scaffai (a cura di), L’autore e il suo archivio, Milano, Officina libraria, 2015

Biasi 2017 = Pierre Marc de Biasi, “Je donne tous mes manuscrits…” ou les deux corps de l’écrivain, in Jean-Marc Hovasse (a cura di), Hugo, “Genesis”, n. 45, 2017, pp. 37-50 [Leggi online]

Del Vento – Musitelli 2018 = Christian Del Vento e Pierre Musitelli (a cura di), Une tradition italienne, “Genesis”, n. 49, 2018 [Leggi online]; ora in versione italiana ampliata con il titolo Scartafacci italiani, Roma, Carocci, i.c.s.

Grésillon 1994 = Almuth Grésillon, Elements de critique génétique. Lire les manuscrits modernes, Paris, PUF, 1994; poi Paris, CNRS-Editions, 2016

Italia 2017 = Paola Italia, Carte geografiche. Prosatori al lavoro, “Autografo”, n. 57, 2017, pp. 23–37

Italia 2022 = Paola Italia, The Italian tradition, in D. Van Hulle e O. Beloborodova (a cura di), Comparative History of the Literary Draft in Europe, OUP, 2022